La scelta difficile

L’inquinamento torna alla ribalta. Dai test tedeschi sugli effetti dell’NOx su cavie umane alla possibile procedura di infrazione della UE nei nostri confronti per i troppi sforamenti dai limiti nelle città, è tutto un fiorire di deliri e desiderata che poco hanno a che fare con la realtà, ma tanto con la politica. Ho sentito di tutto, vaneggiamenti sull’uso dell’idrogeno come fosse disponibile alle fontanelle, wishful thinking sulle elettriche che risolverebbero in toto il problema, messa fuori legge dei motori Diesel, proprio quelli con la maggiore efficienza e quindi la minor produzione di CO2. Occorre chiarezza, ma anche scienza. Non è che il primo che passa per la strada abbia la bacchetta magica e trovi una soluzione semplice e a basso costo. Se ci fosse l’avremmo già adottata. La verità è che tutto il nostro sistema di vita si basa sul rapporto costo/beneficio. Si accetta un rischio per averne un vantaggio. Così se la mobilità è necessaria, se la minor fatica di vivere pure e la salute anche, occorre un compromesso tra le diverse esigenze che ridistribuisca in quota vantaggi e pedaggi. Iniziamo dalla salute. La vita media è cresciuta, salvo la lieve flessione registrata dall’ISTAT nel 2015 e 2016. Questo vuol dire che globalmente l’ambiente in cui viviamo è migliore di un tempo, anche se ci sono criticità su alcune patologie che possono avere nell’inquinamento una aggravante. Non dico che i policiclici aromatici siano salutari né che l’ossido di azoto sia solo il gas esilarante, ma occorre pesare il danno a loro imputabile sui benefici che una mobilità vasta e diffusa genera, magari anche soltanto tramite l’ambulanza Diesel che ti porta a cardiologia d’urgenza. L’automobile è un mezzo (di trasporto), non il colpevole. Se non serve non la usi. Ma ti devono dare un’alternativa che non ti riporti nell’800 con i carretti che raccolgono le deiezioni equine e che non ti costringa a viaggi in bicicletta sotto la pioggia se non  l’hai scelto davvero tu. Gli investimenti nei trasporti pubblici costano moltissimo, il loro risultato è spalmato negli anni e in tempi di bilanci striminziti non vedo grandi cambiamenti nel prossimo futuro; non ci sono soldi. In più, l’imperante filosofia di gestione del pubblico che deve guadagnare come le multinazionali fa a pugni con quella di servizio che dev’essere utile. Insomma non se ne esce in quattro e quattr’otto: bisogna invece lavorare seriamente e con pervicacia sull’argomento, mettendo in conto bilanci stellari e tempi molto lunghi. Nel frattempo, però, non mettiamoci a credere alla fata turchina.  Prima che la mobilità elettrica possa risolvere anche solo una minima parte della mobilità generale passeranno anni. E non facciamoci nemmeno fuorviare dalle scelte industriali, ovviamente basate sul guadagno; basamoci invece su quelle scientificamente migliori anche se a pelle non ci piacciono. Se poi ci saranno contrazioni ulteriori della vita media sarà meglio indagare prima su disoccupazione e sfruttamento. 

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