
Chiedo perdono a Garcìa Marquez per l’uso di un suo titolo, ma il fatto è che si addice tremendamente alla situazione e al destino di FCA.

FCA, alias Fiat più una serie di marchi più o meno vivi (o walking dead), il gruppo che nel 2008 era tecnicamente fallito e che è sopravvissuto grazie all’abilità finaziaria di Sergio Marchionne solo per attuare una speculazione di successo a favore degli azionisti di riferimento. Sfruttare fino all’ultimo un business morente, alla faccia di tutto ciò che è costato nei decenni al nostro Paese, e alla fine darlo via (peraltro a caro prezzo, bravi) ai francesi.

Che di sicuro, avendone il controllo, non privilegeranno certo gli impianti italiani. Anche perché noi, o meglio il nostro governo (ma dovrei usare il plurale), non abbiamo fatto nulla per garantirci un minimo di prospettiva industriale. Non abbiamo fatto valere lo sciovinismo come Macron, non abbiamo fatto accordi vincolanti sull’occupazione come la Merkel. Noi ci fidiamo del mercato.

Il fatto è che il mercato non si fida di noi, delle nostre priorità sempre così fumose, della nostra tendenza a mettere e togliere tasse e delle nostre infrastrutture così poco adeguate a trasporto e spostamenti rapidi.

A PSA serve una testa di ponte negli Usa. In Europa, con un mercato in calo, un eccesso di produzione e una elettrificazione spinta illogicamente a tappe forzate, a un gruppo fatto di prodotti in sovrapposizione è invece utile una razionalizzazione di marchi e impianti, che nel gergo di noi umani vuol dire chiusure e calo dell’occupazione.

Ma torniamo alla Fiat. E’ una vecchia storia. Quando salti un turno di aggiornamento tecnologico sei in difficoltà. Se ne salti due devi investire molto per tornare al profitto, quando ne salti tre hai chiuso. Fiat ne ha volati addiritittura quattro, lo sanno tutti nell’ambiente che non c’è storia. E non è tenendo in vita Lancia solo per l’Italia che si ottiene qualcosa. Perché nel frattempo il recepimento delle direttive UE mette fuori mercato i prodotti e ti lascia solo con i cocci.
Quindi non prendetevela con l’economia o il sovranismo, qui si tratta di semplici avidità e cinismo. L’atteggiamento borbonico di sfruttare il somaro fino alla morte per far girare il mulino; poi chi s’è visto s’è visto. Mi piacerebbe parlare di rilancio e new age, ma il fatto è che la storia dell’auto italiana è vicina al de profundis.

Ma non voglio essere lugubre, la vita va avanti. E il connubio italo-francese potrebbe dare buoni frutti almeno in qualche settore. Ricordate la Citroen-Maserati? Beh, una riedizione del concetto con DS la posto del double chevron avrebbe senso e porterebbe vantaggi a entrambi, nel segmento alto ove il giovane brand cerca di farsi strada.
Quindi prepariamoci a un periodo di ristrettezze e, quando sarà ufficiale, niente lacrime. Le cose possono ancora migliorare, ma anche andar peggio. Dipende solo da noi e dalle nostre scelte.