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Brexit, effetti a lungo termine

Chi a favore chi contro, sull’uscita di UK dalla UE si sono sprecate pagine e pagine. Ma ora che è compiuta emergono le prime solide difficoltà nel commercio e negli scambi.

La molteplicità di opinioni e previsioni sulla dipartita di UK dalla UE ha occupato per mesi le prime pagine di giornali e siti e coinvolto borse e istituzioni economiche. Con il distacco cosa fatta si vedono però le prime concrete difficoltà, che preludono a future possibili penalizzazioni negli scambi tra le diverse industrie con l’accento sulla politica industriale dei transplant che è di fatto l’unica ad alimentare il settore automotive del Regno Unito.

La notizia dei doganieri olandesi che sequestrano i panini ai camionisti inglesi sembra una barzelletta, ma è solo la punta dell’iceberg di una ridda di norme date per scontate con troppa fretta da un accordo all’ultimo minuto dettato dall’arroganza britannica e supportato da una pretesa ma inesistente indipendenza dell’isola dal continente.
Se l’agreement infatti è sufficiente a dettare le regole per la pesca, non lo è altrettanto sugli scambi commerciali, non fosse altro per l’aggravio documentale richiesto a ogni passaggio di frontiera. Se un autocarro parte da un impianto inglese con un carico di auto per, poniamo, la Grecia, dovrà fare dogana almeno in Francia, in Germania e in Italia, se sceglie la via marittima, altrimenti si dovranno aggiungere pure i Paesi balcanici. E questo, anche in assenza (peraltro temporanea, fino a giugno) di dazi, rappresenta un problema che si traduce, oltre che in ritardi di consegna, in aggravio di costi.
Ovviamente lo stesso vale per le importazioni e lo shortage di prodotti alimentari di questi giorni nei supermercati scozzesi ne è la prova.

La convenienza produttiva in UK è perciò tutta da provare e, sommando le difficoltà legate al languire dell’economia dovuta al covid-19 a una eccessiva complessità operativa degli scambi, molte Case dovranno presto fare nuovi conti sulla permanenza sul suolo britannico delle proprie attività.
Anche in campo economico il primato della borsa di Londra è tutto da verificare nel prossimo futuro, specie alla luce delle dichiarazioni di Johnson che vorrebbero fare della Gran Bretagna una sorta di porto franco in Europa, status che la UE non può ovviamente tollerare e nei confronti del quale emetterebbe sicure sanzioni.

Last but not least, le questioni territoriali: l’Irlanda del Nord vive un pericoloso limbo con una situazione poco delineata e la Scozia resta sul piede di guerra annunciando la replica del referendum per staccarsi dal Regno Unito e tornare nella UE.
Se aggiungiamo che la Francia chiede la fine dell’uso dell’inglese commerciale nella common practice dei documenti e delle riunioni in sede comunitaria, il quadro futuro nei confronti del resto del mondo di quello che potrebbe essere un Regno Unito un po’ meno unito sarà meno brillante di quello del Paese che furbescamente ha sfruttato per anni le norme UE a suo vantaggio.


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