Più passa il tempo, più si fa dura la lotta per costringere la popolazione all’accettazione di una mobilità i cui vantaggi sono tutti da dimostrare, specie in campo ambientale.

In questo anno 2 DC (Dopo Covid, la pandemia merita bene uno spartiacque temporale) si direbbe proprio che l’ambiente (in senso ampio) sia in involuzione. I fatti:
a) ci troviamo nel bel mezzo di una pandemia l’uscita dalla quale è tuttora imprevedibile in termini temporali e, soprattutto, per nulla certa;
b) è all’orizzonte (vicinissimo) una crisi economica di una portata mai vista, capace di cancellare equilibri e potentati così come di crearne di nuovi;
c) classe politica e amministratori sono del tutto incapaci di gestire un cambiamento veloce che avviene sia per ragioni intrinseche, sia per l’azione di elementi esterni come il clima;
d) il comportamento sociale standard si estrinseca nella negazione degli eventi o nella loro magnificazione.
e) si diffondono atteggiamenti e pratiche autoritarie, che sulla base di un fumoso bene comune pretendono di gestire abitudini, modi di vita e risorse economiche.

Cosa c’entri tutto ciò con le auto è presto detto; gli attori sono quelli che ho appena descritto.
Gli enti normativi che starnazzano ed emettono norme stocastiche, complice la pandemia, la lobby verde che vede nella crisi un’opportunità irripetibile, la popolazione che ha perso di vista l’orizzonte della propria vita e il braccio d’azione di chi vuole emergere che spara a zero contro chi osi opporsi all’auspicata svolta verde.

Così a fronte della veemenza con cui (molti) costruttori spingono l’auto a batteria senza minimamente considerare la netta riduzione del potere d’acquisto delle famiglie (condizione che può solo peggiorare), la sezione comunicativa delle lobby attacca con pari durezza chiunque osi dire la verità, cioè che l’auto elettrica non solo non è a impronta zero, ma che di fatto la sua diffusione farà aumentare i livelli di CO2 nell’atmosfera. Gli attacchi stanno diventando addirittura personali, delineando un ritorno a metodi dittatoriali che lasciano presagire un ritorno alla pratica maoista della rieducazione.

Ma negare le verità scientifiche non porterà a nessun miglioramento, né sociale, né ambientale, né tantomeno economico.
Fatto salvo che costruire le batterie implica un forte rilascio di anidride carbonica, assai superiore a quello dell’industria tradizionale, in Europa la Germania, il Paese che cavalca maggiormente la mobilità elettrica, ha chiuso molte centrali nucleari per tornare a quelle a carbone. L’impronta americana è addirittura maggiore, per non parlare di quella asiatica e cinese in particolare. L’aumento di produzione elettrica per coprire l’esigenza di movimento comporterà quindi un parimenti netto aumento delle emissioni serra. Bisogna smetterla di raccontare frottole sulla produzione alternativa, la realtà è quella del carbone; con eolico e solare non ci fai funzionare le fabbriche.

E infine, per tornare ad argomenti sensibili e condivisi, voglio proprio vedere cosa diranno questi soloni quando dovremo gestire i milioni di disoccupati che l’industria dell’auto, la seconda nel mondo per stazza, creerà con la svolta elettrica. Complice l’invecchiamento, gran parte non saranno giovani che possono riconvertirsi (a cosa poi è tutto da vedere) ma persone destinate all’oblio sociale, che pur con tutta la prosopopea del cambiamento felice non si potranno semplicemente far scomparire come la polvere sotto il tappeto.