Il risultato della ricerca sulla fotosintesi artificiale apre alla possibilità concreta di produrre idrogeno in modo rinnovabile.

Tra le numerose attività collaterali di Toyota, c’è quella dei Toyota Central R&D Labs di Nagakute, Giappone, una struttura di ricerca tecnologica ad ampio spettro i cui sviluppi arrivano anche oltre il mondo dell’automobile.
A questo riguardo, tra i progetti in corso quello di sviluppo della fotosintesi artificiale ha avuto grandi finanziamenti, poiché potrebbe individuare una strategia globale per ridurre tanto la CO2 quanto produrre composti ossigenati e idrogeno in maniera del tutto rinnovabile, usando esclusivamente l’energia solare.

Il successo del progetto di ricerca, iniziato nel 2011, sta nel livello di efficienza raggiunto dalla sintesi, che grazie a una ristrutturazione del dispositivo utilizzato nell’ultimo studio ha consentito di migliorare l’efficienza di conversione dall’1,5% del 2017 all’attuale 7,2%, un risultato straordinario perché tale percentuale è superiore a quella corrispondente al processo naturale operato delle piante. In effetti si tratta dell’efficienza più alta al mondo mai raggiunta in un dispositivo di fotosintesi artificiale di dimensioni utilizzabili in modo pratico.

Il processo avviene grazie alla combinazione di due reazioni chimiche prodotte dall’energia solare: l’estrazione di elettroni mediante l’ossidazione di H2O e la riduzione di CO2 per convertirle in composti organici. Il fotocatalizzatore ibrido per la riduzione dell’anidride carbonica, che era inizialmente composto da un semiconduttore e da complessi metallici, è stato cablato con un altro semiconduttore, che a sua volta è in grado di ossidare l’acqua. In questo modo dalla cella si ottiene acido formico, sostanza organica largamente presente in natura, che può essere utilizzato come materia prima per la generazione di idrogeno o anche direttamente come combustibile.

Il progetto è ancora a livello sperimentale, ma secondo Takashi Shimazu, direttore del Toyota Central R&D Labs, è possibile ipotizzare di stabilire una base tecnologica per l’uso pratico del metodo entro il 2030. Le prospettive sono decisamente ottimistiche, perché si tratta del primo processo che potrebbe prestarsi all’installazione diretta nei centri produttivi, mitigando il rilascio di carbonio e ottenendo in pratica fonti primarie sostenibili.