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Idrogeno, eterna chimera

Periodicamente tornano i discorsi sull’uso del gas leggero per l’autotrazione, anche se la tecnologia legata ai suoi uso e produzione non ha fatto concreti passi in avanti. Solo wishful thinking?

Ci risiamo. Prima o poi ci sono passati tutti, dall’idrogeno intendo. Solo per citarne alcuni, ricordo nel 2000 la Opel HydroGen1, una Zafira dotata di fuel cell e nel 2006 la BMW Hydrogen 7, una Serie 7 con un V12 alimentato dal gas leggero. Così il fatto che Toyota abbia fatto partecipare a una corsa di durata, la 24 ore di Fuji, una Corolla sport con il 3 cilindri di 1.6 litri alimentato a gas invece che a benzina non è che il ripercorrere una strada già vista, niente di più che l’esplorazione da parte del brand di una delle due possibilità in opzione, visto che la Mirai adotta invece una fuel cell.

Entriamo quindi più in dettaglio. La scelta più logica e conveniente dal punto di vista ambientale sarebbe senz’altro quella di adottare le celle a combustibile. Questi dispositivi hanno raggiunto un rendimento molto elevato, attorno al 60%, anche se per passare dalle versioni per auto a quelle al top per efficienza occorre l’uso di materiali così costosi da renderle di fatto adottabili solo dall’industria aerospaziale. Le celle lavorano a bassa temperatura, ma producono molto calore; occorrono perciò grandi radiatori, mentre dal punto di vista funzionale non sono particolarmente veloci nel seguire le variazioni di carico. Ci vuole quindi una batteria buffer che intervenga nella fase di aumento della produzione di corrente, ergo nelle accelerazioni; peso addizionale sulla scocca, quindi. In compenso non producono altro che acqua, ma ci vuole un particolare studio acustico per isolare il rumore proveniente dal compressore che fornisce la portata d’aria alla cella, in genere fastidioso. Quindi, anche se il motore di trazione è elettrico e cioè capace di accelerazioni fulminanti, con un’auto a fuel cell dimenticate di ripetere le sparate al semaforo, pena esaurire la batteria di bordo.

D’altro canto, se si usa l’idrogeno in un motore a scoppio ci sono altri problemi. Innazitutto l’inevitabile calo del rendimento volumetrico. Il gas occupa spazio e lo toglie all’aria aspirata (o spinta se c’è un turbo), mentre la benzina viene iniettata nel cilindro pieno di sola aria. Quindi, a parità di cilindrata un motore a idrogeno non può avere una potenza paragonabile allo stesso alimentato a benzina. Il V12 da 5 litri della BMW aveva 300 CV al suo debutto nel 1987, ma vent’anni dopo nella Hydrogen 7 ne raggiungeva solo 260. Il rendimento è quindi tendenzialmente basso; la BMW del 2006 consumava infatti ben 50 litri/100 km e anche se oggi la tecnologia ha fatto passi avanti non c’è la bacchetta magica per ottenere aumenti record di efficienza. Dal punto di vista delle emissioni, inoltre, le cose non vanno meglio. La combinazione dell’idrogeno con l’ossigeno dell’atmosfera dà origine alla sola acqua, ma l’azoto si combina a sua volta formando i famosi NOx, quelli oggetto di una delle svariate paranoie UE in campo ambientale. E poiché la formazione di ossidi di azoto è proporzionale alla temperatura di combustione e guarda caso quella che coinvolge l’idrogeno è altissima, la produzione di tali composti è copiosa. Ci vogliono quindi grandi catalizzatori DeNOx.

Infine, argomento comune a entrambi gli approcci, l’idrogeno occorre stivarlo a bordo. Due le tecnologie: in forma liquida o gassosa. BMW credeva nella prima, che richiede un serbatoio criogenico, dato che l’idrogeno si liquefa a -253°C. E piché non è possibile installare a bordo un complesso, voluminoso e pesante sistema di raffreddamento, bisogna sfruttare la tecnica dei vasi di Dewar per mantenerlo allo stato liquido: farne evaporare sempre una piccola quantità. L’evaporazione assorbe quindi il calore che farebbe salire di temperatura il serbatoio. Due però le conseguenze negative: innanzitutto il rilascio di idrogeno nell’aria circostante, che di fatto impedisce il ricovero dell’auto in un box. Poi un inevitabile effetto sull’autonomia, che cala, seppur di poco, anche a vettura ferma. I fautori della soluzione diranno che, essendo l’idrogeno assai leggero, tende a sfuggire rapidamente dagli ambienti senza concentrarvicisi, ma, poiché ha anche la sgradita abitudine di fomare miscele tonanti (che esplodono cioè senza innesco) in concentrazioni tra il 4 e il 96% con l’aria, io personalmente eviterei di fare il test.

Si può anche conservarlo in forma gassosa, certo. Ma per averne una quantità sufficiente a garantire autonomie ragionevoli occorrono pressioni di 700 bar, pericolose anche per il solo effetto volumetrico in caso di scoppio. E vogliamo parlare dell’energia richiesta al compressore per il rifornimento?

Inoltre ci si dimentica sempre che non si tratta di una fonte primaria. Non ci sono pozzi di idrogeno, ma occorre rivolgersi alla catena industriale che lo ottiene a partire dal metano oppure dall’elettrolisi dell’acqua. Nel primo caso con un copioso rilascio di CO2, nel secondo con un processo energetico in perdita: si ottiene infatti meno energia dall’uso dell’idrogeno di quanta ne occorra fornire all’acqua per scinderla.
Insomma come la giri, con l’idrogeno non se ne esce e a mio parere la situazione resterà tale ancora per molto, molto tempo.

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