Non si tratta solo di denaro, ma anche di costi sociali, rapporti di potere fra stati e continenti e ripartizione della ricchezza. E alla VW il consiglio di sorveglianza comincia finalmente a rendersene conto.

La notizia è che il consiglio di fabbrica della Volkswagen ha sfiduciato ufficialmente l’ad Herbert Diess; la presidente Daniela Cavallo ha così di fatto iniziato la procedura che potrebbe portare alla rimozione dell’alto dirigente. D’altronde anche i rapporti di Diess con il consiglio di sorveglianza del gruppo, la struttura che sovrintende alla sua gestione e nella quale i rappresentanti del lavoro e lo stato della Bassa Sassonia hanno la maggioranza, sono difficili da parecchio tempo.
La guida di una società con 675.000 dipendenti e una complessa struttura di azionariato non è mai stata facile, ma si è complicata dopo il Dieselgate del 2015. La decisione di passare a una produzione completamente elettrica implica infatti passaggi che non sono stati universalmente apprezzati, in particolare il presupposto che il nuovo orientamento implichi massicci licenziamenti a causa della minor quantità di parti rispetto ai veicoli con motore a combustione.

Ma con la gestione attuale VW sembra preoccupata unicamente di essere rimasta indietro rispetto ai rivali di minor dimensione, con l’intenzione di intraprendere azioni decisive per assicurarsi una posizione di rilievo rispetto alle aziende che operano negli Stati Uniti e in Cina. A questo proposito la soluzione elettiva sarebbe quella di una revisione industriale accelerata, ma sfortunatamente per Diess i sindacati tedeschi non hanno intenzione di accettare passivamente massicci licenziamenti.
La corrente situazione industriale della filiera elettrica vede la produzione delle batterie, parte più complessa e costosa, spesso esternalizzata ad altre aziende, mentre il lavoro di montaggio in assenza della parte termodinamica semplicemente non richiede lo stesso numero di persone. Un bel vantaggio per le Case, che ipotizzano già minori spese per il personale e un guadagno quasi garantito grazie alle pesanti sovvenzioni dei governi, che consentono di vendere prodotti più costosi.
Tuttavia, il capitale speso solo per arrivare a questo punto è stato a dir poco enorme. Volkswagen ha stanziato circa 16 miliardi di euro per lo sviluppo di “mobilità elettrica, ibridazione e digitalizzazione” entro il 2025. E ulteriori fondi sono stati stanziati per la struttura di ricarica e per il programma di veicoli autonomi.

Ma a questo punto non si tratta più soltanto di ristrutturazioni industriali. La vulgata ottimistica vuole che i veicoli elettrici raggiungano parità finanziaria con quelli a combustione entro il 2025, ma il loro tasso di adozione non sarà in grado di renderli la modalità di trasporto dominante per almeno un altro decennio. E mentre i costruttori si collocano in un delirio autistico di innovazione a qualunque costo, il mondo reale fa i conti con il loro ruolo sociale, che esiste da sempre al di sopra di una certa taglia, e con una sorta di ritorno al passato dal punto di vista delle disparità economiche che una società moderna non può più accettare.

E la partita riguarda ovviamente anche la UE, che del cambiamento verde ha fatto la sua bandiera nella stessa accezione intrisa di fanatismo, trascurando la principale legge che sta alla base di ogni attività umana, che prevede fatalmente ogni beneficio abbia sempre un costo. La salvaguardia dell’ambiente passa per molteplici fattori, molti dei quali implicano appunto forti costi, che però si tendono a scaricare sempre sulla parte più ampia della popolazione, incidentalmente la più povera. Affrontare un simile argomento, e non parlo solo del settore dell’automobile, implica uno sforzo epocale di rinnovamento, che deve però partire dal sistema economico, principale causa di ogni squilibrio attuale. Non è possibile ipotizzare un cambio ambientale win-win: se le cose vanno fatte non è detto che qualcuno ci debba per forza guadagnare. Il tempo stringe, ma non solo per l’ecostistema: anche lo status economico richiede una profonda revisione in temini di equità e giustizia. Prima ce ne rendiamo conto meglio è.