I piani verdi della UE sono stati drammaticamente messi in crisi dall’invasione dell’Ukraina. Difficile parlare di transizione sostenibile quando a due passi da casa le emissioni di CO2 sono del tutto trascurabili rispetto a quelle ben più tossiche di una guerra.

Quanto tempo ci vuole per riprendersi da uno shock? Se parliamo di individui gli intervalli variano, ma se la domanda è posta a un governo la latenza dev’essere minima.
Questione di sicurezza dei cittadini, di garantire le risorse necessarie per la vita (o forse la sopravvivenza) di tutti.
E se parliamo di necessità, l’automobile ritorna centrale, ma sicuramente con criteri al di là di quelli che potrei definire velleitari, messi da parte in un attimo dal conflitto.
Preoccuparsi dell’ambiente va bene finché l’ambiente c’è, si potrebbe dire, e l’evoluzione verso una terza guerra mondiale potrebbe mettere in dubbio anche quello che sinora è stato considerato un assioma. Riprendersi dallo shock, dunque, per valutare con realismo la situazione.
Al di là delle opinioni, da ora dovrà contare più quello che può garantire questo passaggio più o meno lungo attraverso un’economia di guerra fino al ritorno alla normalità, che sarà possibile solo a fine ostilità.
Credo non sfugga a nessuno che ho volontariamente evitato di considerare l’opzione nucleare; sì, perché in tal caso non ci sarebbe più niente da salvare.

L’auto di domani alla luce dei fatti di oggi, dunque. Elettrica? Ho serie difficoltà a crederlo. A parte la probabile prossima riduzione nella disponibilità di energia elettrica per i grandi assorbitori (e le auto a batteria rientrano nella categoria), sono proprio i costi della corrente in vertiginosa salita a decretarne una più o meno possibile messa da parte. Per non parlare delle materie prime, che vengono tutte da Est, e degli accumulatori, sui quali la Cina ha il monopolio. E poi non vedo denaro speso per aumentare il network delle centraline quando il grano costa il 50% in più; il cibo viene prima.

Quindi un ritorno al passato? No, non credo. Certamente le auto dovranno basarsi ancora sui combustibili tradizionali, perché tempi e investimenti per benzine sintetiche sono attualmente fuori portata. Certo lo shortage di prodotti petroliferi e gli esorbitanti aumenti di prezzo legati alla speculazione non si attenueranno presto, ma è la logica conseguenza della generale economia di mercato, che, contrariamente ai popoli, non è mai andata a fondo con le guerre.
Il fatto che le auto del prossimo periodo dovranno fare di necessità virtù non implica però una parallela risalita della CO2, quantomeno di quella emessa dai veicoli. L’esigenza di ridurre i consumi a causa della penuria generale va automaticamente nella direzione di minori emissioni e l’aumento dell’efficienza sarà quindi un dogma da qui in poi per molto tempo. Pneumatici a minore sezione aiuteranno a ridurre gli attriti passivi, mentre nella stessa ottica le velocità saranno ridotte su scala generale.
Non certo il massimo per chi ama le auto, ma il mezzo su ruote sarà ancora al centro degli scambi e quindi della vita di un Paese. Cambiare per non sparire quindi, tenendo duro anche per evitare chiusure e fallimenti ma soprattutto per mantenere in vita il sistema economico. Ce la possiamo fare.